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Professione e professionalità pedagogica (ai tempi del Covid)

Essere docente in una classe di scuola superiore e fare la quarantena fiduciaria: ecco cosa può comportare la professionalità pedagogica ai tempi del Covid. L’inizio dell’anno scolastico è da sempre molto impegnativo anche per i ragazzi che arrivano alla scuola superiore e portano con sé stereotipi e “sentiti dire” su Facebook, Istagram, i social. Gli amici virtuali frastornano, creano false aspettative – mi hanno detto che quella di matematica è …, con italiano non si fa niente, le ore inglese sono un caos – e nientificano. Il contesto politico ed economico è problematico, a fatica gli adulti riescono a comprendere la realtà e a vivere nel quotidiano senza paura, coscienti dell’indeterminatezza che contraddistingue ogni essere umano. I ragazzi non sono attratti dallo studio o forse la loro voglia di conoscere da un lato li entusiasma e dall’altro li preoccupa come se avessero timore di scoprire qualcosa che li deluderebbe e al quale non saprebbero far fronte perché non educati a prendere coscienza della loro formazione ovvero della forza di vita propria di ognuno di noi, quella stenia formativa di cui parlano i Pedagogisti-Intellettuali bistrattati da una fallacia discorsiva diffusa. Gli studenti vorrebbero la verità, ma non è possibile definire e fissare netti confini tra idee e opinioni. Forse proprio questo li frena davanti alla richiesta di impegno e tutto diviene presto un carico eccessivo che affatica. Inoltre, stare in classe senza trasgredire regole è noioso e le classi si “animano” in eccesso. I tempi del Covid non hanno certo alleggerito la situazione anzi, dopo una primavera di didattica a distanza ed esami on line, non ci sono che lamentazioni e rivendicazioni su promozioni, votazioni e valutazioni e le dichiarazioni di indisponibilità, alla luce di un passato appena trascorso, sono molte. Docenti, studenti e famiglie aggrediti da un’emergenza – che non si affronta organicamente costruendo un progetto per un futuro non più sostenibile – gestita di fretta e in situazione di stress attaccano a loro volta, pur di “sopravvivere” sono pronti a tutto e accettano ogni limitazione della libertà personale compresa quella di pensiero – ancora una volta i social e i media impongono condizionamenti in nome di una scienza ridotta a ideologia. Al docente, che pensa di fare il mestiere più bello del mondo, rimane uno spazio educativo esiguo: girare fra i banchi non è bene per la salute, parlare con un tono di voce normale non è una abitudine che assicura rispetto da parte degli studenti, meglio imporsi con autorità per evitare “rischi” nell’avvenire, provare a dialogare e conversare in classe non sempre è la migliore delle attività possibili; insomma, più che mai l’uomo è prigioniero di un sistema, che attraverso strutture complesse e istituzioni lo limita entro prassi e schemi fissi. Schiacciati da un angoscia che si fa di volta in volta trasgressione, apatia, logorio passare una mattinata in classe può diventare davvero impegnativo. Così, è cominciato un nuovo anno scolastico con orari spesso non stabiliti, con la mancanza - invero cronica - di docenti, senza banchi monoposto, in succursali fatiscenti, con strumenti didattici insufficienti nonostante gli impegni di spesa. Non da ultimo, oggi, stare vicini fa male. Ci vuole la mascherina, si è condannati all’immobilità per ore e capita che qualcuno si ammali. Allora gli studenti sono fatti uscire da scuola uno alla volta prelevati dai genitori trepidanti e incerti sul da farsi. Anche i docenti presenti in classe in giorni divenuti “contagiosi” devono lasciare l’edificio scolastico e rifugiarsi a casa in completo isolamento. È il protocollo e la quarantena fiduciaria in attesa di un tampone che tarda ad arrivare. Intanto si attivano le lezioni, naturalmente in video conferenza, si è soli, annoiati, ma sicuri! Rabbia, ansia, preoccupazione dominano il sentimento umano sempre più misero e individuato il malato lo si odia perché ha sparso il contagio. Assicurarsi la vita vuol dire accettare ogni imposizione senza questionare, basta la rassicurazione di un cellulare e del mondo virtuale che porta racchiuso in sé. Formazione, educazione e istruzione culturale, il nerbo dell’istituzione educativa, sono sommersi dai fatti emergenti e, sepolti da una didattica che si è fatta prassi circoscritta in modelli rigorosamente condivisi, sono taciute - anche nelle facoltà universitarie. Una decina di giorni per decostruire e ricostruire la propria formazione e fare scelte per educare ed educarsi al termine della quarantena fiduciaria, o forse della malattia, confermando che la “vision” e la “mission” della scuola di ogni ordine e grado è l’istruzione culturale quel soffio vitale che continua a sostenere la professionalità pedagogica di chi tornerà a scuola virtuale o meno.

 

Stefania Trifilio

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